CLOPPETE CLOPPETE

Cloppete Cloppete.

Gli zoccoli del mustang picchiavano sulla terra dura. Il caldo era snervante, venivano da una lunga attraversata. L’Arizona può essere spietata senza un goccio d’acqua, lo testimoniano le corna di bufali scheletriti che di tanto in tanto spiccano per il loro lugubre bianco. Il percorso ampio non risparmia alcuna insidia. Una faticaccia anche dover dribblare crotali, cactus, insetti urticanti più dei rapaci avvoltoi che sorvolano sempre bassi quando qualcuno sta tirando le cuoia.

Finalmente c’era qualcosa all’orizzonte: Poetic City!

Gringo dette l’ennesima controllata alla sua borraccia inesorabilmente vuota.

Il cavallo s’impennò con un nitrito stoico o forse stava imprecando tutti i santi del calendario equino, per la stupidaggine di chi aveva sopra:

  • Lo sapeva, no, che la borraccia era vuota, mica si poteva riempire da sola!

L’altro non si scompose, ma rimise al loro posto i ruoli dando una speronata al sottoposto.

Cloppete Cloppete

  • Cacchio! – esclamò Gringo appena superato il varco con l’insegna di confine. – Finalmente ci sono dentro.

Aveva il gargarozzo sempre più secco, polvere sparsa perfino nei capelli che parevano tutti grigi.

Fece una rotatoria con lo sguardo per rendersi meglio conto della situazione.

Diverse casette in legno. Di fronte, una chiesa bianca con campanile al seguito. Avanzò. Si trovava in uno slargo che faceva da piazza principale. L’ora era buona. La campana proprio in quel momento mandò un dindondan petulante: cinque colpi che si ripetevano e ripetevano.

C’erano poche persone in giro. In prevalenza bovari, qualche campesino di seconda mano (perché l’altra l’aveva nascosta nel poncho).

Voleva, assolutamente voleva, farsi una birra. Una di quelle schiumose che paiono orgasmo di prima qualità.

Il cavallo nitrì nuovamente: anche lui aveva sete, lì vicino c’era una vasca per l’appunto. Ma non voleva beccarsi un’altra dose di speronate facendo resistenza. Quindi smise da subito usando un po’ di psicologia.

La pazienza doveva diventare il suo forte. Questione di poco e poi sarebbe arrivata la bella bevuta!

E invece arrivò subito, perché il suo cavaliere in fondo era un buono. E portò il cavallo alla vasca per farlo bere. Poi lo “posteggiò” davanti al saloon, con un giro di briglie attorno a un legno.

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Entrare in “scena” era di estrema importanza. L’apertura di quelle due ante a molle … determinante per spiccicare la prima impressione. Giocare su punti strategici, facendo dell’apparire cosa fondamentale.

Diede un colpo in contemporanea alle due ante, per lasciarle ondeggiare e fare eco al suo ingresso.

Intanto si aggiustò l’espressione: sguardo torvo, sicuro. E l’incedere: flemmatico, felino.

Mentre passava tra i tavoli affollati, il chiacchiericcio andò a sgocciolare, per finire quasi di colpo.

Non mancavano pollastre e galline conciate a festa: chi impegnata in un via vai di beveraggi, chi sulle ginocchia del puttaniere di turno, chi appoggiata a un appoggiabile come dovesse veramente reggere altro, oltre che calze e tette.

Gringo arrivò al bancone:

  • Dammi da bere oste della malora!

L’oste, un ometto smilzo e lungagnone che tendeva ad inclinarsi come un ramo (e infatti era soprannominato Ramo), si piazzò uno strofinaccio sulla spalla e si avvicinò al cliente.

  • Da bere cosa?
  • Birra! Della birra ghiacciata.

Prima di eseguire l’ordinazione, dette una strusciata al banco (tutti i baristi lo fanno, non stanno bene altrimenti. Per loro è un atto da collocarsi tra un tic e una missione).

Si udì il ronzio d’una mosca. L’ultima mosca rimasta nel locale, che osò sfidare Gringo solleticandogli più volte il naso. Non sapeva la tapina che così avrebbe segnato la sua fine.

Un attimo. E lui l’acchiappò lesto come un gatto, per spiaccicarla direttamente sul banco. Poi si asciugò la mano passandosela sui pantaloni.

Nel locale si annusava un timore così denso da poterlo tagliare col coltello.

I secondi sembrano eterni, quando si ha fretta o voglia di qualcosa.

E lo straniero non ne poteva più dalla sete:

  • Allora questa birra arriva o devo farti diventare una gruviera?

Saltava agli occhi quanto il tizio potesse essere pericoloso. A ulteriore conferma, le due pistole che aveva posizionate con la fondina bassa.

  • Ecco la birra! – gli vociò il barista dall’altra parte del chilometrico bancone, lanciandogli il boccale schiumoso con mano avvezza e usando il ripiano quale pista veloce e diretta.

Gringo l’agguantò fulmineo e la bevve tutta d’un fiato. La schiuma gli fuoriusciva dalla bocca, bagnandogli mento e collo.

Quando ebbe finito, gettò un respiro di soddisfazione, e col dorso della mano si dette un’asciugata.

Con l’indice fece cenno all’oste di avvicinarsi, e gli sventolò sotto il naso una sostanziosa banconota. La forza del denaro non si fece attendere. Al Ramo si accesero gli occhi.

  • Dimmi del Nano – disse Gringo.
  • Sei fortunato, tra poco sbarcherà qui. Tieni d’occhio la porta.
  • Come lo riconosco? Dal nome … forse?
  • L’hai detto, è un tappo. E per tirarsela porta dei camperos tacco 15. Ma non c’è nulla da fare … sembra ancora più tappo.
  • Descrivimi il resto.
  • Ha faccia quadrata, mento largo, un grosso naso; e capigliatura con taglio alla Cristoforo Colombo … gialla e tinta.
  • Ma no!
  • Ma sì!

E avvicinandosi in modo da sfiorare l’orecchio di Gringo, mise una mano a ventaglio per aggiungere:

  • Pensa, la usa spesso per confondere … i suoi connotati …
  • Ahahah! – Gorgogliò l’altro.

Non aveva terminato la risata che la porta del saloon si spalancò nuovamente.

Lì per lì pareva non fosse entrato nessuno.

Ma come credere alle porte che si aprono da sole e senza vento?

A Gringo venne il lampo del signor Genio.

In basso. Doveva guardare in basso. E aveva ragione.

Un tipo bassotto assai, era appena entrato.

Corrispondeva alla descrizione data: capelli gialli, taglio alla Cristoforo Colombo, camperos con tacco 15 pure sormontati da gambe storte oltre che corte. Gli occhi non riusciva a vederli perché indossava un grosso paio di occhiali da sole.

Non poteva essere che il Nano.

L’oste e Gringo si scambiarono un’occhiata d’intesa. Il primo prese il largo, ancora più fuggente dello sguardo che aveva appena dato.

Ticchete Tacchete

Il nuovo arrivato stava avanzando nella metà esatta della stanza – vedi come procedo inesorabile- pensava.

A un paio di metri da Gringo, si fermò:

  • So che mi cerchi – disse con voce chioccia.
  • Veramente sei tu che mi rompi i coglioni da anni.
  • Finalmente parli!
  • Dopo che hai sparato milioni di cazzate … che altro avrei potuto fare. Stavolta scioglierò il tuo comprendonio come burro al sole.
  • Non ci riuscirai. Stabilisco io quel che devi pensare e capire!
  • Noto un’evoluzione, però!
  • Cioè?
  • Ahahah. Gli occhiali. Dalla muta di maschere … sei passato agli occhiali!
  • C’è poco da ridere!

A quel punto accadde il silenzio. Finalmente era venuto … il momento della sparatoria.

Le mani dei due contendenti vibrarono impercettibilmente vicino alle pistole.

Il pubblico sgattaiolò via come un fiume in piena.

Quale dei due sparò cazzate per primo non si capì.

Ma il risultato decisivo fu dovuto a una mosca, probabilmente compagna dell’altra trucidata. Al suo volersi vendicare.

Il caso volle che ronzasse attorno alla faccia del Nano. Questi, agendo d’istinto, dette un colpo per scacciarla, e invece scacciò via i suoi occhiali … rivelando un unico occhio: di vetro e dalle ciglia finte.

Gringo rimase allibito. Ma forte del momento d’empasse sparò un’altra scarica di cazzate mirando stavolta anche all’abbigliamento di chi aveva di fronte.

Così che ne fece cadere i pantaloni.

E lì, in quel preciso momento, tra le due gambette storte vide una voragine!

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