La chiave

E piombai nell’evidenza
viaggiando mille odissee –

un quantico anonimo mi prese
avvoltolata scivolai
errai
scesi
nuotai.
Notturni di lune piene
cantico languore luccicavano
l’abisso d’un inchiostro nero

Ed ecco
da clessidra il chiostro
altra realtà
che dicevo questa
perdutamente vera
e c’eri tu
e un mentore secco
dalla barba bianca
forse l‘albero di un ramo
l’incontrario parallelo
a cui raccontavi
di me crudele amante
che non fui –

incerto
lunedì vitale
alto alla tensione della presa.
Volti al rilascio
oppure no
un cantico dopo l’altro,
la dizione anche,
il forte edificato
nell’attesa,
metafisico stato,
patto teatrale disconnesso
coi tendoni intatti
di velluto amaranto –

perdutamente aperta
la costa scenica,
languida
sul palco a scale d’arpe rampicanti.
E sotto al mio passo un ponte
sulle fiere,
quel bacio indimenticabile
a raccontarti invano
quanto si sarebbe perso

Nuotare o affogare il senso del limite …
… l’oceano più profondo e grande?

Finché non risalii squarciando luci acquee
e non mi sentii da una parte chiamare.
Ruotò allora il capo verso la scrivania del campo
e così la vide:

minuscola, lampante, metallica
stava lì
tornata e mai andata,
che appena accolta dalle mie mani
cominciò a crescere e a brillare
savia di come per te contassi –

l’avevi riportata!

/La chiave/

della tua casa, della nostra stanza
col cuore maggiordomo a servirci
l’ultima fetta di torta sulla via

e il mio sorriso appena alzato
fra l’alba rosata ne gioì

Stregato
issò perle di uva e glicini

© 6 settembre ore 8,47

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